Caritas parrocchiale

La Caritas parrocchiale è un organismo pastorale col compito di animare, coordinare e promuovere la testimonianza della carità nella comunità parrocchiale con funzione prevalentemente pedagogica.

 

 

Caritas
17 Novembre 2018Caritas / NewsPer il secondo anno il Santo Padre Francesco invita la Chiesa a celebrare, in questa domenica, la Giornata mondiale dei Poveri, come «un richiamo forte alla nostra coscienza credente affinché siamo sempre più convinti che condividere con i poveri ci permette di comprendere il Vangelo nella sua verità più profonda». Francesco ci invita a considerare quanto sia distante il modo di vivere evangelico da quello del mondo, «che loda, insegue e imita coloro che hanno potere e ricchezza, mentre emargina i poveri e li considera uno scarto e una vergogna». il Papa, citando l’insegnamento dell’apostolo Paolo, ci invita a dare pienezza evangelica alla solidarietà con le membra più deboli e meno dotate del corpo di Cristo. «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui» (1Cor12,26). Alla stessa stregua, nella Lettera ai Romani ci esorta: «Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non nutrite desideri di grandezza; volgetevi piuttosto a ciò che è umile» (12,15-16). Questa è la vocazione del discepolo di Cristo; l’ideale a cui tendere con costanza è assimilare sempre più in noi i «sentimenti di Cristo Gesù» (Fil2,5). Ciascuno di noi senta la necessità evangelica di vivere nella preghiera e nelle opere la nostra vicinanza a quanti sono attualmente in difficoltà, nelle diverse e imprevedibili situazioni della vita. La Caritas parrocchiale quest’anno accompagna 51 famiglie, attraverso la distribuzione di prodotti alimentari. Inoltre si è ritenuto opportuno intervenire in alcune situazioni specifiche con un contributo in denaro. Oggi vogliamo condividere fraternamente il pranzo con le persone che accompagniamo nella difficoltà. Sarà una bella occasione per conoscerci, per raccontarci le nostre inquietudini e le nostre speranze. Abbiamo invitato anche l’intero Consiglio comunale, le famiglie dei nostri volontari e alcuni giovani della nostra comunità. Incontrarci aiuterà tutti a non vergognarci di chiedere aiuto e a non vergognarci di offrire aiuto. Cogliamo l’occasione per ricordarvi che il nostro Centro di Ascolto è aperto il martedì, dalle ore 16 alle ore 18. Quanti si trovano in situazioni di povertà, di solitudine, di pericolo o di qualunque altra necessità, saranno accolti, nella speranza che si possa alleviare o risolvere qualche sofferenza. Il nostro gruppo parrocchiale della Caritas si riunisce ogni quarto giovedì del mese, alle ore 21,30, salvo variazioni occasionali, ed è aperto a tutti coloro che vorrebbero donare il proprio aiuto, tempo e disponibilità, in qualsiasi forma. Coloro che volessero contribuire economicamente possono farlo consegnando un’offerta libera al parroco, specificando la finalità. Scrive il Papa: «Invito a vivere questa Giornata Mondiale come un momento privilegiato di nuova evangelizzazione. I poveri ci evangelizzano, aiutandoci a scoprire ogni giorno la bellezza del Vangelo. Non lasciamo cadere nel vuoto questa opportunità di grazia. Sentiamoci tutti, in questo giorno, debitori nei loro confronti, perché tendendo reciprocamente le mani l’uno verso l’altro, si realizzi l’incontro salvifico che sostiene la fede, rende fattiva la carità e abilita la speranza a proseguire sicura nel cammino verso il Signore che viene». Il messaggio del Papa per la Seconda giornata mondiale dei poveri in PDF. [...]
17 Novembre 2018Caritas / Formazione / In sagrestiaMESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO II GIORNATA MONDIALE DEI POVERI Domenica XXXIII del Tempo Ordinario 18 novembre 2018   Questo povero grida e il Signore lo ascolta   1. «Questo povero grida e il Signore lo ascolta» (Sal 34,7). Le parole del Salmista diventano anche le nostre nel momento in cui siamo chiamati a incontrare le diverse condizioni di sofferenza ed emarginazione in cui vivono tanti fratelli e sorelle che siamo abituati a designare con il termine generico di “poveri”. Chi scrive quelle parole non è estraneo a questa condizione, al contrario. Egli fa esperienza diretta della povertà e, tuttavia, la trasforma in un canto di lode e di ringraziamento al Signore. Questo Salmo permette oggi anche a noi, immersi in tante forme di povertà, di comprendere chi sono i veri poveri verso cui siamo chiamati a rivolgere lo sguardo per ascoltare il loro grido e riconoscere le loro necessità. Ci viene detto, anzitutto, che il Signore ascolta i poveri che gridano a Lui ed è buono con quelli che cercano rifugio in Lui con il cuore spezzato dalla tristezza, dalla solitudine e dall’esclusione. Ascolta quanti vengono calpestati nella loro dignità e, nonostante questo, hanno la forza di innalzare lo sguardo verso l’alto per ricevere luce e conforto. Ascolta coloro che vengono perseguitati in nome di una falsa giustizia, oppressi da politiche indegne di questo nome e intimoriti dalla violenza; eppure sanno di avere in Dio il loro Salvatore. Ciò che emerge da questa preghiera è anzitutto il sentimento di abbandono e fiducia in un Padre che ascolta e accoglie. Sulla lunghezza d’onda di queste parole possiamo comprendere più a fondo quanto Gesù ha proclamato con la beatitudine «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3). In forza di questa esperienza unica e, per molti versi, immeritata e impossibile da esprimere appieno, si sente comunque il desiderio di comunicarla ad altri, prima di tutto a quanti sono, come il Salmista, poveri, rifiutati ed emarginati. Nessuno, infatti, può sentirsi escluso dall’amore del Padre, specialmente in un mondo che eleva spesso la ricchezza a primo obiettivo e rende chiusi in sé stessi. 2. Il Salmo caratterizza con tre verbi l’atteggiamento del povero e il suo rapporto con Dio. Anzitutto, “gridare”. La condizione di povertà non si esaurisce in una parola, ma diventa un grido che attraversa i cieli e raggiunge Dio. Che cosa esprime il grido del povero se non la sua sofferenza e solitudine, la sua delusione e speranza? Possiamo chiederci: come mai questo grido, che sale fino al cospetto di Dio, non riesce ad arrivare alle nostre orecchie e ci lascia indifferenti e impassibili? In una Giornata come questa, siamo chiamati a un serio esame di coscienza per capire se siamo davvero capaci di ascoltare i poveri. E’ il silenzio dell’ascolto ciò di cui abbiamo bisogno per riconoscere la loro voce. Se parliamo troppo noi, non riusciremo ad ascoltare loro. Spesso, ho timore che tante iniziative pur meritevoli e necessarie, siano rivolte più a compiacere noi stessi che a recepire davvero il grido del povero. In tal caso, nel momento in cui i poveri fanno udire il loro grido, la reazione non è coerente, non è in grado di entrare in sintonia con la loro condizione. Si è talmente intrappolati in una cultura che obbliga a guardarsi allo specchio e ad accudire oltremisura sé stessi, da ritenere che un gesto di altruismo possa bastare a rendere soddisfatti, senza lasciarsi compromettere direttamente. 3. Un secondo verbo è “rispondere”. Il Signore, dice il Salmista, non solo ascolta il grido del povero, ma risponde. La sua risposta, come viene attestato in tutta la storia della salvezza, è una partecipazione piena d’amore alla condizione del povero. E’ stato così quando Abramo esprimeva a Dio il suo desiderio di avere una discendenza, nonostante lui e la moglie Sara, ormai anziani, non avessero figli (cfr Gen 15,1-6). E’ accaduto quando Mosè, attraverso il fuoco di un roveto che bruciava intatto, ha ricevuto la rivelazione del nome divino e la missione di far uscire il popolo dall’Egitto (cfr Es 3,1-15). E questa risposta si è confermata lungo tutto il cammino del popolo nel deserto: quando sentiva i morsi della fame e della sete (cfr Es 16,1-16; 17,1-7), e quando cadeva nella miseria peggiore, cioè l’infedeltà all’alleanza e l’idolatria (cfr Es 32,1-14). La risposta di Dio al povero è sempre un intervento di salvezza per curare le ferite dell’anima e del corpo, per restituire giustizia e per aiutare a riprendere la vita con dignità. La risposta di Dio è anche un appello affinché chiunque crede in Lui possa fare altrettanto nei limiti dell’umano. La Giornata Mondiale dei Poveri intende essere una piccola risposta che dalla Chiesa intera, sparsa per tutto il mondo, si rivolge ai poveri di ogni tipo e di ogni terra perché non pensino che il loro grido sia caduto nel vuoto. Probabilmente, è come una goccia d’acqua nel deserto della povertà; e tuttavia può essere un segno di condivisione per quanti sono nel bisogno, per sentire la presenza attiva di un fratello e di una sorella. Non è un atto di delega ciò di cui i poveri hanno bisogno, ma il coinvolgimento personale di quanti ascoltano il loro grido. La sollecitudine dei credenti non può limitarsi a una forma di assistenza – pur necessaria e provvidenziale in un primo momento –, ma richiede quella «attenzione d’amore» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 199) che onora l’altro in quanto persona e cerca il suo bene. 4. Un terzo verbo è “liberare”. Il povero della Bibbia vive con la certezza che Dio interviene a suo favore per restituirgli dignità. La povertà non è cercata, ma creata dall’egoismo, dalla superbia, dall’avidità e dall’ingiustizia. Mali antichi quanto l’uomo, ma pur sempre peccati che coinvolgono tanti innocenti, portando a conseguenze sociali drammatiche. L’azione con la quale il Signore libera è un atto di salvezza per quanti hanno manifestato a Lui la propria tristezza e angoscia. La prigionia della povertà viene spezzata dalla potenza dell’intervento di Dio. Tanti Salmi narrano e celebrano questa storia della salvezza che trova riscontro nella vita personale del povero: «Egli non ha disprezzato né disdegnato l’afflizione del povero, il proprio volto non gli ha nascosto ma ha ascoltato il suo grido di aiuto» (Sal 22,25). Poter contemplare il volto di Dio è segno della sua amicizia, della sua vicinanza, della sua salvezza. «Hai guardato alla mia miseria, hai conosciute le angosce della mia vita; hai posto i miei piedi in un luogo spazioso» (Sal 31,8-9). Offrire al povero un “luogo spazioso” equivale a liberarlo dal “laccio del predatore” (cfr Sal 91,3), a toglierlo dalla trappola tesa sul suo cammino, perché possa camminare spedito e guardare la vita con occhi sereni. La salvezza di Dio prende la forma di una mano tesa verso il povero, che offre accoglienza, protegge e permette di sentire l’amicizia di cui ha bisogno. E’ a partire da questa vicinanza concreta e tangibile che prende avvio un genuino percorso di liberazione: «Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società; questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 187). 5. E’ per me motivo di commozione sapere che tanti poveri si sono identificati con Bartimeo, del quale parla l’evangelista Marco (cfr 10,46-52). Il cieco Bartimeo «sedeva lungo la strada a mendicare» (v. 46), e avendo sentito che passava Gesù «cominciò a gridare» e a invocare il «Figlio di Davide» perché avesse pietà di lui (cfr v. 47). «Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte» (v. 48). Il Figlio di Dio ascoltò il suo grido: «“Che cosa vuoi che io faccia per te?”. E il cieco gli rispose: “Rabbunì, che io veda di nuovo!”» (v. 51). Questa pagina del Vangelo rende visibile quanto il Salmo annunciava come promessa. Bartimeo è un povero che si ritrova privo di capacità fondamentali, quali il vedere e il lavorare. Quanti percorsi anche oggi conducono a forme di precarietà! La mancanza di mezzi basilari di sussistenza, la marginalità quando non si è più nel pieno delle proprie forze lavorative, le diverse forme di schiavitù sociale, malgrado i progressi compiuti dall’umanità… Come Bartimeo, quanti poveri sono oggi al bordo della strada e cercano un senso alla loro condizione! Quanti si interrogano sul perché sono arrivati in fondo a questo abisso e su come ne possono uscire! Attendono che qualcuno si avvicini loro e dica: «Coraggio! Alzati, ti chiama!» (v. 49). Purtroppo si verifica spesso che, al contrario, le voci che si sentono sono quelle del rimprovero e dell’invito a tacere e a subire. Sono voci stonate, spesso determinate da una fobia per i poveri, considerati non solo come persone indigenti, ma anche come gente portatrice di insicurezza, instabilità, disorientamento dalle abitudini quotidiane e, pertanto, da respingere e tenere lontani. Si tende a creare distanza tra sé e loro e non ci si rende conto che in questo modo ci si rende distanti dal Signore Gesù, che non li respinge ma li chiama a sé e li consola. Come risuonano appropriate in questo caso le parole del profeta sullo stile di vita del credente: «sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, senza tetto, vestire uno che vedi nudo» (Is 58,6-7). Questo modo di agire permette che il peccato sia perdonato (cfr 1 Pt 4,8), che la giustizia percorra la sua strada e che, quando saremo noi a gridare verso il Signore, allora Egli risponderà e dirà: eccomi! (cfr Is 58,9). 6. I poveri sono i primi abilitati a riconoscere la presenza di Dio e a dare testimonianza della sua vicinanza nella loro vita. Dio rimane fedele alla sua promessa, e anche nel buio della notte non fa mancare il calore del suo amore e della sua consolazione. Tuttavia, per superare l’opprimente condizione di povertà, è necessario che essi percepiscano la presenza dei fratelli e delle sorelle che si preoccupano di loro e che, aprendo la porta del cuore e della vita, li fanno sentire amici e famigliari. Solo in questo modo possiamo scoprire «la forza salvifica delle loro esistenze» e «porle al centro della vita della Chiesa» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 198). In questa Giornata Mondiale siamo invitati a dare concretezza alle parole del Salmo: «I poveri mangeranno e saranno saziati» (Sal 22,27). Sappiamo che nel tempio di Gerusalemme, dopo il rito del sacrificio, avveniva il banchetto. In molte Diocesi, questa è stata un’esperienza che, lo scorso anno, ha arricchito la celebrazione della prima Giornata Mondiale dei Poveri. Molti hanno trovato il calore di una casa, la gioia di un pasto festivo e la solidarietà di quanti hanno voluto condividere la mensa in maniera semplice e fraterna. Vorrei che anche quest’anno e in avvenire questa Giornata fosse celebrata all’insegna della gioia per la ritrovata capacità di stare insieme. Pregare insieme in comunità e condividere il pasto nel giorno della domenica. Un’esperienza che ci riporta alla prima comunità cristiana, che l’evangelista Luca descrive in tutta la sua originalità e semplicità: «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (At 2,42.44-45). 7. Sono innumerevoli le iniziative che ogni giorno la comunità cristiana intraprende per dare un segno di vicinanza e di sollievo alle tante forme di povertà che sono sotto i nostri occhi. Spesso la collaborazione con altre realtà, che sono mosse non dalla fede ma dalla solidarietà umana, riesce a portare un aiuto che da soli non potremmo realizzare. Riconoscere che, nell’immenso mondo della povertà, anche il nostro intervento è limitato, debole e insufficiente conduce a tendere le mani verso altri, perché la collaborazione reciproca possa raggiungere l’obiettivo in maniera più efficace. Siamo mossi dalla fede e dall’imperativo della carità, ma sappiamo riconoscere altre forme di aiuto e solidarietà che si prefiggono in parte gli stessi obiettivi; purché non trascuriamo quello che ci è proprio, cioè condurre tutti a Dio e alla santità. Il dialogo tra le diverse esperienze e l’umiltà di prestare la nostra collaborazione, senza protagonismi di sorta, è una risposta adeguata e pienamente evangelica che possiamo realizzare. Davanti ai poveri non si tratta di giocare per avere il primato di intervento, ma possiamo riconoscere umilmente che è lo Spirito a suscitare gesti che siano segno della risposta e della vicinanza di Dio. Quando troviamo il modo per avvicinarci ai poveri, sappiamo che il primato spetta a Lui, che ha aperto i nostri occhi e il nostro cuore alla conversione. Non è di protagonismo che i poveri hanno bisogno, ma di amore che sa nascondersi e dimenticare il bene fatto. I veri protagonisti sono il Signore e i poveri. Chi si pone al servizio è strumento nelle mani di Dio per far riconoscere la sua presenza e la sua salvezza. Lo ricorda San Paolo scrivendo ai cristiani di Corinto, che gareggiavano tra loro nei carismi ricercando i più prestigiosi: «Non può l’occhio dire alla mano: “Non ho bisogno di te”; oppure la testa ai piedi: “Non ho bisogno di voi”» (1 Cor 12,21). L’Apostolo fa una considerazione importante osservando che le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie (cfr v. 22); e che quelle che «riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno» (vv. 23-24). Mentre dà un insegnamento fondamentale sui carismi, Paolo educa anche la comunità all’atteggiamento evangelico nei confronti dei suoi membri più deboli e bisognosi. Lungi dai discepoli di Cristo sentimenti di disprezzo e di pietismo verso di essi; piuttosto sono chiamati a rendere loro onore, a dare loro la precedenza, convinti che sono una presenza reale di Gesù in mezzo a noi. «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). 8. Qui si comprende quanto sia distante il nostro modo di vivere da quello del mondo, che loda, insegue e imita coloro che hanno potere e ricchezza, mentre emargina i poveri e li considera uno scarto e una vergogna. Le parole dell’Apostolo sono un invito a dare pienezza evangelica alla solidarietà con le membra più deboli e meno dotate del corpo di Cristo: «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui» (1 Cor 12,26). Alla stessa stregua, nella Lettera ai Romani ci esorta: «Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non nutrite desideri di grandezza; volgetevi piuttosto a ciò che è umile» (12,15-16). Questa è la vocazione del discepolo di Cristo; l’ideale a cui tendere con costanza è assimilare sempre più in noi i «sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5). 9. Una parola di speranza diventa l’epilogo naturale a cui la fede indirizza. Spesso sono proprio i poveri a mettere in crisi la nostra indifferenza, figlia di una visione della vita troppo immanente e legata al presente. Il grido del povero è anche un grido di speranza con cui manifesta la certezza di essere liberato. La speranza fondata sull’amore di Dio che non abbandona chi si affida a Lui (cfr Rm 8,31-39). Scriveva santa Teresa d’Avila nel suo Cammino di perfezione: «La povertà è un bene che racchiude in sé tutti i beni del mondo; ci assicura un gran dominio, intendo dire che ci rende padroni di tutti i beni terreni, dal momento che ce li fa disprezzare» (2, 5). E’ nella misura in cui siamo capaci di discernere il vero bene che diventiamo ricchi davanti a Dio e saggi davanti a noi stessi e agli altri. E’ proprio così: nella misura in cui si riesce a dare il giusto e vero senso alla ricchezza, si cresce in umanità e si diventa capaci di condivisione. 10. Invito i confratelli vescovi, i sacerdoti e in particolare i diaconi, a cui sono state imposte le mani per il servizio ai poveri (cfr At6,1-7), insieme alle persone consacrate e ai tanti laici e laiche che nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti rendono tangibile la risposta della Chiesa al grido dei poveri, a vivere questa Giornata Mondiale come un momento privilegiato di nuova evangelizzazione. I poveri ci evangelizzano, aiutandoci a scoprire ogni giorno la bellezza del Vangelo. Non lasciamo cadere nel vuoto questa opportunità di grazia. Sentiamoci tutti, in questo giorno, debitori nei loro confronti, perché tendendo reciprocamente le mani l’uno verso l’altro, si realizzi l’incontro salvifico che sostiene la fede, rende fattiva la carità e abilita la speranza a proseguire sicura nel cammino verso il Signore che viene. Dal Vaticano, 13 giugno 2018 Memoria liturgica di S. Antonio da Padova [...]
29 Marzo 2018Caritas / In sagrestia / Parroco / Pasqua / Quaresima«È la Pasqua del Signore!». Il canto del Gloria e il suono a distesa delle campane interrompono il silenzio quaresimale e ci introducono al principio della nostra salvezza: il mese che «sarà per voi l’inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell’anno». Il giorno in cui celebriamo l’istituzione dell’eucaristia, cioè della vocazione permanente di ciascun battezzato alla comunione con Dio e con i fratelli, al servizio reciproco e alla testimonianza del vangelo attraverso la carità. Ci sono stati donati tre racconti di comunione, cioè di alleanza: la Pasqua del popolo di Israele, la nuova alleanza stabilita da Gesù nella notte in cui fu tradito, e il racconto dell’apostolo Paolo alla comunità di Corinto. Già la Pasqua antica richiamava il popolo di Israele alla comunione con Dio e alla comunione tra coloro che appartengono allo stesso popolo. L’unica mensa comune, l’unico agnello da condividere tra membri dell’unica famiglia e tra le famiglie dell’unica comunità. Quando Paolo scrive il racconto della Cena, in cui venne istituita l’eucaristia, si rivolge a una comunità malata: infatti, sembra avere il sopravvento una mentalità pagana, che ha messo Dio fuori dalla vita quotidiana; l’illusione di una fede, ridotta a un culto formale e quasi scaramantico; e un profondo individualismo. Sono i mali che forse aggrediscono e indeboliscono anche la comunità cristiana di oggi. L’Apostolo è costretto a denunciare: «Quando vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la Cena del Signore». E ricorda quello che lui stesso ha ricevuto come dono, cioè il primo annuncio cristiano: «il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”. Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga». Cosa non comprendono più i Corinzi dell’eucaristia? Che cosa non funziona nelle loro celebrazioni? Spiega Paolo: «Ognuno infatti consuma la propria cena» senza vivere la comunione, e quindi indegnamente. E l’indegnità non è causata dai peccati che si fanno. Infatti, l’eucaristia è il pane offerto ai peccatori e non il premio dei giusti. Prima di partecipare alla mensa del Signore, tutti dichiariamo: «Signore, io non sono degno». Quando andiamo a ricevere il corpo di Cristo ci inchiniamo e stendiamo le nostre mani, come fanno i mendicanti. Allora, l’indegnità consiste nel non riconoscere e capire il Corpo e il Sangue del Signore, che è la Chiesa. Diciamo di essere cristiani e di appartenere alla Chiesa, partecipiamo alle liturgie e siamo impegnati in qualche servizio alla parrocchia, ma possiamo anche noi correre il pericolo mortale di mangiare ciascuno la propria cena, senza aspettare gli altri, senza condividere con i poveri quella cena: ecco come si disprezza il Corpo del Signore. Quando non si riconosce più che la Chiesa è il Corpo del Signore. Quando non ci si interessa della Chiesa come del Corpo di Cristo. Quando non ci si sente parte della Chiesa, in quanto Corpo del Signore. Pensiamo di andare a messa e di stare a posto così, magari confessandoci prima: ma non è solo il Pane e il Vino il Corpo del Signore, ma anche la Chiesa, la comunità, e certamente il povero, il bisognoso, l’ultimo sono il Corpo del Signore. Per questo Gesù interrompe il rito della Cena, per rivelarci, nel lavare i piedi come uno schiavo, il senso della Cena, e la missione che ne deriva. Questa sera, allora, ci chiediamo se siamo capaci di riconoscere il Corpo di cui facciamo parte, il corpo della comunità, il corpo di coloro che vivono accanto a noi, il corpo degli ultimi e dei bisognosi: affamati, prigionieri, nudi, malati, stranieri, perseguitati, dimenticati (cfr. Mt 25,31-46). Questa sera impariamo a riconoscerci Corpo di Cristo, facendoci servi gli uni degli altri, accogliendoci gli uni gli altri, perdonandoci vicendevolmente. Ci inginocchieremo davanti ai piedi di alcuni fratelli e sorelle, che sono il Corpo di Cristo. E ci inginocchieremo davanti all’Eucaristia, che è il Corpo di Cristo. E ci accosteremo alla mensa della comunione, con il carico dei nostri peccati, come mendicanti, trovando la salvezza come dono immeritato del Padre. E ci accosteremo ai fratelli e alle sorelle, con il carico dei loro peccati, amandoli e onorandoli, come dono del Padre, come il Corpo di Cristo. [...]
17 Novembre 2017Caritas / Coinvolgersi / Fruttificare / News / Vita della comunitàIn occasione della Prima Giornata Mondiale dei Poveri, promulgata da papa Francesco, la nostra comunità presenta il Direttivo della Caritas parrocchiale. Esso è formato da don Dino Pirri (presidente), Monica Cancrini (responsabile), Giuliano Petrelli (segretario), Giuseppe Bruni (amministratore), don Emanuele Imbrescia (diacono). Insieme a loro, tanti altri volontari. Domenica 19 novembre, al termine di ogni eucaristia, sarà consegnato il messaggio del Papa. Di cosa si occupa la Caritas parrocchiale? La Caritas parrocchiale è un organismo pastorale col compito di animare, coordinare e promuovere la testimonianza della carità nella comunità parrocchiale con funzione prevalentemente pedagogica. (Statuto, art. 1) La sua opera ha come fine l’animazione pastorale della comunità parrocchiale, aiutando tutti a maturare l’attenzione alla realtà e la cura dei più poveri tra noi. In questi anni si è attivata la distribuzione di prodotti alimentari, in collaborazione con il “Banco delle Opere di Carità”. Attualmente sosteniamo 56 famiglie. A breve aprirà anche un “Centro di Ascolto”, in cui tutti possano sentirsi accolti. A tale proposito è stata allestita una stanza nel nostro Oratorio. Ringraziamo quanti hanno contribuito a questa iniziativa: “Rosati pitture s.r.l.” che ci ha donato il colore per la tinteggiatura, la “All  services” che ci ha donato il pc e la stampante, Giovanni e Tonino che hanno tinteggiato i locali, Gabriella (ha donato le tende) e Stefania che hanno pulito dopo i lavori. Don Emanuele ha donato un crocifisso per la stanza. Antonio e Michele hanno curato alcuni lavori di “rifinitura”. Si è voluto ricordare le persone e le opere realizzate, perché la carità e l’attenzione al prossimo parte dai gesti piccoli e da ciò che ciascuno può condividere. Il Centro di Ascolto sarà operativo appena conclusa la formazione dei volontari, a cura della Caritas diocesana. Come possiamo sostenere la Caritas? Nelle celebrazioni delle esequie, all’offertorio, la questua sarà destinata interamente alle opere di carità. Inoltre tutti siamo chiamati dal Vangelo a essere vigilanti, cioè attenti alla realtà e alle persone che ci circondano. Per segnalare alcune necessità, oppure per farcene fraternamente carico. Perché “non amiamo a parole ma con i fatti”. [...]
31 Agosto 2016Caritas / Vita della comunitàGli scout del Grottammare 3 hanno prestato servizio nell’emergenza terremoto ad Arquata. E ci hanno lasciato questo racconto Mercoledì 24 agosto, una notte diversa dalle altre. Una notte insonne, con la paura di sentire ancora la terra tremare. Si capisce subito che da qualche parte nei dintorni deve aver fatto grossi danni. E iniziano ad arrivare le prime notizie e le prime immagini. Amatrice, Accumuli, Arquata del Tronto e Pescara del Tronto, non esistono più. E purtroppo anche molte famiglie di quelle zone. Subito sento nella testa e nel cuore una voce imperiosa ed insistente che mi spinge a fare qualcosa. Potrei ignorarla, potrei pensare che tanto qualcuno che darà una mano ci sarà sicuramente. Ma non ci riesco e non voglio nemmeno farlo. Per me quella è la voce del Padre che mi chiede di aiutare dei miei fratelli, quindi la ascolto e, come scout, mi metto a disposizione dell’Associazione di cui faccio orgogliosamente parte. La chiamata arriva quasi subito, assistenza ai familiari dei defunti presso l’obitorio e il palazzetto dello sport di Ascoli. Si parte con la speranza di portare un po’ di conforto. E si arriva trovandosi davanti scene viste solo in televisione. Una cinquantina di bare allineate su tutta la superficie della palestra e persone che camminano tra quelle bare piangendo su più di una. Iniziamo a distribuire acqua cercando di essere “invisibili”, avvicinandoci col timore di disturbare il loro raccoglimento, il loro dolore. Mi sono trovata davanti persone che non solo hanno perso tutto, ma in alcuni casi anche tutti. E dimenticare i lori volti, le loro storie è impossibile. C’è la zia di Tommaso che ci mostra le foto delle nozze d’argento di sua sorella che in questo disastro ha perso il marito, un figlio e i genitori. Oppure la mamma di Giulia e Giorgia che, sdraiata su una barella, cerca di rintracciare telefonicamente il vigile del fuoco che ha estratto viva dalle macerie almeno una delle sue figlie, per poterlo incontrare e ringraziare. Lo zio della piccola Giulia e la sua maglietta di Totti. Poi si torna a casa e si porta sul cuore il peso di tutto quel dolore. Si torna a casa e si piange. Si torna a casa con i loro ringraziamenti che ti rendono felice perchè vuol dire che hanno avvertito che quella mano tesa non offriva solo acqua, ma anche tanto amore. [...]