Don Emanuele, diacono

Il 24 giugno Emanuele Imbrescia è diventato diacono. Ecco alcune foto e l’omelia del vescovo Carlo.

Quando  un  fedele  comprende  che  nella  Chiesa  ognuno  ha  un  ruolo  di  responsabilità  per il  bene  comune  e  si  rende  disponibile  per  il  servizio,  non  c’è  che  da  rendere  lode  al  Signore  e accogliere  con  gratitudine  il  suo  dono  di  amore  alla  Chiesa.  Il  diacono,  infatti,  è  questo:  un fedele  che  si  rende  disponibile  al  servizio.  Dove?  Dove  la  Chiesa  ritiene  di  avere  bisogno  di  lui. Il  servizio  alla  Chiesa  il  diacono  non  lo  sceglie,  ma  lo  accoglie  dalla  Chiesa,  come  i  primi  sei diaconi  che  furono  pregati  dagli  Apostoli  di  servire  alle  mense,  affinché  nessuno  fosse trascurato. Quando  il  servizio  ce  lo  scegliamo  noi,  rischiamo  di  servire  solo  noi  stessi  e  non  la Chiesa.  Chi  vuol  servire  la  Chiesa  a  modo  suo,  non  serve  la  Chiesa,  ma  si  serve  della  Chiesa  per servire  se  stesso  e  le  sue  opere  moriranno  con  lui.  Questo  vale  per  tutti,  nessuno  escluso;  in modo  particolare  vale  per  il  diacono,  che,  attraverso  l’ordinazione  conferitagli  con  l’imposizione delle  mani  del  Vescovo,  riceve  una  speciale  missione  a  servizio  dei  bisogni  della  Chiesa, soprattutto nella persona dei più poveri. Voglio  citarti,  caro  Emanuele,  papa  Francesco  che  nella  sua  visita  a  Milano  il  25  marzo di  quest’anno  ebbe  a  dire:  «Il  diaconato  è  una  vocazione  specifica,  una  vocazione  familiare  che richiama il  servizio.  A  me piace tanto  quando  [negli  Atti degli  Apostoli]  i primi  cristiani ellenisti sono  andati  dagli  apostoli  a  lamentarsi  perché  le  loro  vedove  e  i  loro  orfani  non  erano  ben assistiti,  e  hanno  fatto  quella  riunione,  quel  “sinodo”  tra  gli  apostoli  e  i  discepoli,  e  hanno “inventato”  i  diaconi  per  servire.  E  questo  è  molto  interessante  anche  per  noi  vescovi,  perché quelli  erano  tutti  vescovi,  quelli  che  hanno  “fatto”  i  diaconi.  E  che  cosa  ci  dice?  Che  i  diaconi siano  i  servitori.  Poi  hanno  capito  che,  in  quel  caso,  era  per  assistere  le  vedove  e  gli  orfani;  ma servire  [era  ed  è,  l’indicazione  più  importante].  E  a  noi  vescovi:  la  preghiera  e  l’annuncio  della Parola;  e  questo  ci  fa  vedere  qual  è  il  carisma  più  importante  di  un  vescovo:  pregare.  Qual  è  il compito  di  un  vescovo,  il  primo  compito?  La  preghiera.  Secondo  compito:  annunciare  la  Parola. Ma  si  vede  bene  la  differenza.  E  a  voi  [diaconi]:  il  servizio.  Questa  parola  è  la  chiave  per  capire il  vostro  carisma.  Il  servizio  come  uno  dei  doni  caratteristici  del  popolo  di  Dio.  Il  diacono  è  – per  così  dire  –  il  custode  del  servizio  nella  Chiesa.  Ogni  parola  dev’essere  ben  misurata.  Voi siete i custodi del  servizio nella Chiesa: il  servizio alla Parola, il servizio  all’Altare, il  servizio ai Poveri.  E  la  vostra  missione,  la  missione  del  diacono,  e  il  suo  contributo  consistono  in  questo: nel  ricordare  a  tutti  noi  che  la  fede,  nelle  sue  diverse  espressioni  –  la  liturgia  comunitaria,  la preghiera  personale,  le  diverse  forme  di  carità  –  e  nei  suoi  vari  stati  di  vita  –  laicale,  clericale, familiare  –  possiede  un’essenziale  dimensione  di  servizio.  Il  servizio  a  Dio  e  ai  fratelli.  E quanta strada  c’è da  fare  in questo  senso!  Voi siete i custodi del servizio  nella Chiesa». Quanto  sono  belle  queste  parole,  quanto  chiariscono  il  senso  della  fede  cristiana  come sequela  di  Cristo  e  il  carisma  del  servizio  che  il  diacono  è  chiamato  a  rendere  presente  a beneficio di tutta la  Chiesa! Fanne  una  regola  della  tua  vita,  caro  Emanuele.  Aiutato  da  tua  moglie  e  dalla  tua famiglia  perseguila  sempre.  Non  è  importante  cercare  ruoli  di  visibilità  (neppure  sull’altare)  o  di prestigio  sociale  od  ecclesiale:  questo  lascialo  fare  a  chi  cerca  il  consenso  sociale  o  pensa  alla ‘carriera’.  Il  cristiano  cerca  di  seguire  Cristo,  sempre,  anche  quando  mancano  gli  applausi  della gente  o  le  luci  della  ribalta,  anzi,  queste  cerca  di  fuggirle  per  quanto  può.  La  sua  carriera  è  verso il  basso,  verso  colui  che  ha  bisogno  del  suo  servizio.  Per  questo,  se  necessario,  rinuncia prontamente  e  senza  farlo  pesare  anche  a  qualche  ora  di  sonno  o  di  meritato  riposo  dopo  una giornata di lavoro. Ma  non  dimenticare  che  sei  sposato  e  hai  una  famiglia,  la  quale,  se,  da  una  parte,  dovrà comprenderti  e  sostenerti in  questa tua  missione  nella  Chiesa, dall’altra, essa pure ti  è affidata  da Dio  e,  quindi,  dovrai  custodirla  nell’amore  e  nella  fedeltà,  perché  cresca  come  piccola  Chiesa domestica.  La  vocazione  al  diaconato  permanente  si  aggiunge  alla  vocazione  matrimoniale,  non la  elimina,  ma  in  un  certo  senso  la  porta  a  compimento,  in  quanto  come  marito  e  padre  è chiamato a  servire la propria famiglia e  a guidarla a Dio, come ogni  marito e padre cristiano. Caro  Emanuele,  vivi  il  tuo  servizio  alla  Chiesa  nella  gioia  e  nella  gratitudine,  anche  nel momento  della  fatica  e,  forse,  pure  di  qualche  delusione  o  incomprensione.  Molto  hai  ricevuto da  Dio  e  molto  riceverai  ancora,  ma  molto  sei  chiamato  a  dare  con  generosità  e  disinteresse sulle  strade  che  il  Signore  ti  indicherà  attraverso  la  Chiesa.  Tieni  sempre  fisso  lo  sguardo  sulla meta  che  è  il  servire  e  sta  aggrappato  a  Gesù,  imitandolo  nella  dedizione  al  suo  corpo  che  è  la Chiesa. La  grazia  del  Signore  nostro  Gesù  Cristo,  l’amore  di  Dio  padre  e  la  comunione  dello Spirito santo  sia  sempre  con te e  con  noi.

+  Carlo Bresciani

24 giugno 2017